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La bottigliata

Paolo-Monelli

Tra gli appassionati di vino tutti sanno chi è stato Gino Veronelli, molti conoscono Mario Soldati, pochi hanno sentito parlare di Paolo Monelli. (Su Wikipedia si contende la precedenza con l’omonimo Paolo Monelli, bomber della Fiorentina Anni 80).

Giornalista e scrittore (l’ultimo intellettuale ad abbandonare il monocolo), è invece lui il padre di tutti noi, nonché della critica enogastronomica italiana.

Durante la prima guerra mondiale, sbarbato tenentino degli alpini, arrivò al fronte e il capitano gli disse: “Lei deve fare tre cose. Tagliarsi i capelli, lasciarsi crescere la barba, e mettersi a bere vino.” Da quel momento, non ha più smesso di fare la terza cosa.

Nel 1935 Paolo Monelli pubblicò “Il ghiottone errante”, poi ristampato nel dopoguerra. Un diario di viaggio attraverso il Belpaese, alla scoperta del meglio della nostra enogastronomia (allora per “eccellenza” s’intendeva solo il Cavalier Benito Mussolini). A impreziosirlo, le illustrazioni dell’astemio Giuseppe Novello, per questo continuamente stuzzicato dall’autore. Nel libro, un capolavoro d’ironia e leggerezza, si afferma il valore culturale del cibo e del vino molto prima di Slow Food. Tra le altre cose, si lamenta già la scomparsa delle osterie e si prendono di mira coloro “che vorrebbero introdurre presso di noi certe barbare usanze ultramontane e transatlantiche, i cibi in scatola, gli alimenti sintetici…”

Per quanto riguarda il vino, in particolare, aveva già capito tutto: “Noi abbiamo tipi eccellenti che valgono i più celebrati bordeaux e borgogna. Abbiamo il sole, e la terra, e la quantità. Ma bisogna imparare a fare il vino, e a farlo bene, e a farlo rispettare.”

Nel 1963 Paolo Monelli torna sull’argomento con “Il vero bevitore”. Un vademecum per imparare a bere. La materia gli stava così a cuore che credeva dovesse essere la scuola a insegnare i primi rudimenti sull’argomento. Con il suo stile aulico, sdrammatizzato dall’ironia, non lesina giudizi controcorrente. Questo lo dedichiamo a chi beve solo i Riesling tedeschi (e magari sente solo musica jazz e guarda solo film iraniani): “Mi sono trovato una volta a Zeltinger sulla Mosella a bere di quei succhi pallidi: uno Zeltinger Himmelreich lo definii (…) dolciastro, leggero, buono da pulirsi i denti.”

Un’altra gustosissima lettura per chi ama il vino. Sconsigliato invece per gli astemi, che secondo Paolo Monelli andavano puniti, “con la speranza di guarirli da un vizio.”

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