Oggi nel Carso al posto delle trincee ci sono cantine che fanno ottimi vini.
Ma questa terra di frontiera, dove a nord-est corre il confine tra Italia e Slovenia (ex-Jugoslavia), in passato è stata teatro di violenze di ogni tipo. Prima la Grande Guerra (qui Ungaretti in trincea scriveva le sue poesie sui pacchetti di sigarette); poi fascismo e comunismo che hanno fatto a gara a dare il peggio di sé: alla fine hanno pareggiato. Attualmente l’unico liquido rosso che scorre è il vino, che notoriamente dà pace e gioia.
Il Carso è un territorio a metà tra Italia e Slovenia. Da quando quest’ultima è entrata nella Comunità Europea non c’è neanche più la dogana (dove una volta si controllava perfino il traffico della carne e per aggirare le ispezioni la si nascondeva nei reggipetti delle donne, come cantava Lorenzo Pilat). Ma la cosa più importante è che italiani e sloveni vivono nel rispetto reciproco, come del resto è sempre stato nella vicina Trieste, a parte le parentesi di cui sopra.
Per raggiungere il Carso si parte da Trieste direzione nord e ci s’inoltra per piccoli paesetti col doppio nome, lungo piccole stradine, delimitate da piccoli muretti a secco. Obbligatorio fermarsi in qualche osmiza: praticamente una stanza di casa del contadino, dove è possibile bere il suo vino, nonché mangiare i salumi e i formaggi ottenuti dai suoi animali.
Il Carso è un altopiano roccioso di origine calcarea, che va più o meno dalle Alpi Giulie al Mar Adriatico. Una terra impervia e selvaggia (non me lo vedo Sting a comprare casa qui), caratterizzata dalla permeabilità delle sue rocce: la pioggia le ha scavate e trapassate, dando vita a grotte, fiumi carsici e doline (valli che sarebbero laghi se l’acqua non filtrasse giù). La bora ha fatto il resto, soffiando via la tipica terra rossa dalla roccia e rendendo l’agricoltura ancora più faticosa (figuriamoci la viticultura!).
Ma di agricoltura questa terra povera è sempre vissuta. Ai tempi dell’Impero Austro-Ungarico qui si coltivava frutta e verdura per il mercato di Trieste, e fiori per quello di Vienna. Storicamente erano gli sloveni a occuparsi dei campi, così come hanno origine slovena, oggi, i produttori di vino del Carso: Lupinc, Kante, Skerk, etc.
Alla loro passione per la propria terra e alla loro caparbietà, che li porta ogni volta a combattere con la roccia per ricavare anche solo una piccola vigna, si deve l’aver imposto di recente i vini del Carso all’attenzione mondiale. Tutto questo con il contributo anche dei produttori del Carso sloveno, in un clima di totale collaborazione, che solo il vino sa creare (sulle ruggini del passato ci bevono su).
I vini del Carso nel complesso hanno una personalità molto spiccata: sono vini scolpiti nella roccia. Proprio perché nascono in un territorio particolare, decisamente vocato: la montagna dà acidità, il mare sapidità e la pietra mineralità. Come stile, quale più quale meno, rientrano nella grande famiglia dei vini naturali: al massimo rame e zolfo in vigna, in cantina fermentazioni spontanee, scarso uso dei solfiti, niente chiarifiche o filtrazioni, etc.
Tre sono i vitigni autoctoni più importanti: il terrano, un’uva a bacca rossa discendente dal refosco, che dà vini acidi e aspri un po’ da domare; la malvasia istriana, meno aromatica e più minerale rispetto al resto delle malvasie; infine, il più interessante, la vitovska, un incrocio tra malvasia e glera (l’uva con cui in Veneto fanno il Prosecco, qui per fortuna no), che dà vita a bianchi acidi e longevi, di grande finezza.
Tendenzialmente viene vinificata con la tecnica della macerazione (dopo la pigiatura le uve vengono lasciate a contatto col mosto, come si fa di solito coi rossi, ma non coi bianchi), al fine di ottenere maggiore struttura e complessità. Un processo che può durare da un giorno a una settimana e influisce anche sul colore del vino, tanto che i sommelier à la page li chiamano “orange wines”. (Il riferimento è Josco Gravner, nel Collio, con le sue macerazioni in anfora).
Ecco un breve profilo dei produttori più rappresentativi, divisi non in base al confine (concetto che col vino c’entra poco), ma solo in ordine alfabetico per praticità. Le bottiglie vanno in media dai 20 ai 30 €.
Čotar
Cantina in territorio sloveno, a gestione rigorosamente familiare, papà Branko e il figlio Vasja. Oltre alla faccia, sui loro vini ci mettono anche l’impronta digitale, sull’etichetta. Lo stile di vinificazione tende decisamente ai vini naturali. Molto ampia la gamma delle bottiglie: oltre ai tre classici autoctoni (vitovska, malvasia e terrano) sauvignon, merlot e cabernet sauvignon. E soprattutto uno spumante extrabrut metodo classico strepitoso, a base di malvasia e vitovska, il Bela 2009.
www.cotar.si
Marko Fon
Anche lui produttore del Carso sloveno. Grande amante e specialista (le due cose non vanno sempre di pari passo) della malvasia, di cui fa diverse versioni, tra cui la Quattro Stati da una vigna centenaria. Anche vitoska e terrano tra le sue bottiglie, e non poteva essere altrimenti per uno dei produttori più “territoriali” del Carso. I suoi vini sono arrivati fino a New York, in alcuni tra i ristoranti più chic della grande mela.
Kante
Poeta e pittore, ma soprattutto bravo produttore e abile comunicatore. E’ stato quello che meglio degli altri ha saputo “vendere” i vini del Carso fuori dal territorio. I suoi bianchi non fanno macerazione ma sfidano comunque il tempo (alcune bottiglie vengono messe in commercio a 10 anni dalla vendemmia). Oltre agli autoctoni, malvasia e vitovska, anche chardonnay e sauvignon.
www.kante.it
Lupinc
Danilo Lupinc è stato il primo a credere fortemente nella viticultura del Carso, non a caso è stato il primo a imbottigliare, nel 1969. In quegli anni tutti andavano in città a cercare lavoro in fabbrica, lui rimaneva in campagna a fare vino. Oggi il figlio Matej è il suo degno erede. Notevoli la malvasia e la vitovska, molto interessante la Stara Brajda (assemblaggio di malvasia, vitovska e friulano), ma la mia preferenza assoluta va al Terrano. No macerazione.
www.lupinc.it
Skerk
In vigna conduzione biologica, in cantina niente chimica. I bianchi fanno macerazioni di durata variabile, in base all’uva e all’annata. La loro Vitovska 2011 è quella che in assoluto mi ha colpito di più. Oltre a malvasia e terrano, da provare l’Ograde (assemblaggio di vitovska, pinot grigio, sauvignon e malvasia).
www.skerk.com
Vodopivec
Fa solo Vitovska e nel modo più estremo in fatto di macerazioni. La bottiglia base, Vitoska Classica, fa 15 giorni sulle bucce e poi due anni in botte grande. L’altra Vitovska addirittura 6 mesi di macerazione in anfora interrata e due anni di botte (40 € circa). Sito molto poetico.
www.vodopivec.it
Zidarich
Tra i più acclamati produttori della nuova generazione. E’ partito da mezzo ettaro dell’azienda paterna e nel corso di pochi anni è arrivato a 8 ettari, 25.000 bottiglie e una splendida cantina vista mare. Tutto puntando sui vitigni autoctoni e su una tecnica di macerazione sempre più equilibrata. Accanto alla linea classica vitovska, malvasia e terrano; gli assemblaggi Ruye (terrano e merlot) e Prulke (vitovska, malvasia e sauvignon).
www.zidarich.it
Per informazioni sul Carso, in particolare sulle aziende agricole con un approccio ecosostenibile, vi segnalo il bel sito del centro di promozione Joseph. Trovate qui anche tanti eventi a cui iscrivervi per approfondire la cultura del territorio, in particolare una suggestiva passeggiata con Matej Lupinc tra i suoi vigneti, per scoprire i segreti dei vini della zona. Ringrazio Enrico Milič per i tanti discorsi e bicchieri in giro per il Carso.